Sì, lettera e risposta, qua sotto, in effetti erano già comparse in un post. Che poi è sparito. Credo sia andata così: la redazione del sito dev’essere composta da persone molto comprensive nei confronti della psicologa stordita che governa questo blog. Quando si sono accorte che avevo pubblicato qui una cosa che in realtà non era ancora uscita su Vanity di carta, zitte zitte l’hanno tolta. Zitte zitte perchè se avessero dovuto dire qualcosa quel qualcosa sarebbe stato: “Cara psicologa che governa questo blog: sei stordita”.
Ecco. Però lo scambio tra Francesca e me io ve lo ripropongo. E vi ripropongo anche l’avvincente citazione della mia zia Adelaide, quella con i baffi che io, da piccola, mi rifiutavo pervicacemente di baciare, e che diceva sempre “chi troppo vuole nulla stringe”. Baffi a parte, che ne pensate? C’entra qualcosa con la vicenda di Francesca? Ho esagerato a strapazzarla, Francesca? Voi che cosa le avreste detto?
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Cara Dottoressa,
ritengo sinceramente che le sue parole possano essermi di conforto. Ho 43 anni, mamma di due splendidi ragazzi, separata da sette anni, da due ho un compagno, che amo moltissimo! Ma qualcosa si è spezzato, ed io non riesco più a tornare serena. In modo casuale l’anno scorso resto incinta, dopo 10 anni dal mio ultimo figlio. Provo una gioia infinita, un senso di leggerezza e felicità, ma la gravidanza si interrompe alla settima settimana, ci dicono che è casuale, ci riproviamo, avviene la stessa cosa, e così una terza volta. Questo ci getta nello sconforto più totale, decido di effettuare dei controlli. La causa, mi dicono cinicamente, potrebbe essere la mia età avanzata. Parole che suonano pesanti, che chiudono un ciclo della vita e che mettono in discussione il mio rapporto. Sì, perché a questo punto il mio compagno entra in crisi, e inizia un periodo in cui io mi torturo e mi angoscio per la possibilità che questa storia possa finire. Lui ha paura di doversi pentire di rinunciare definitivamente ad avere un figlio suo. Come posso uscire da questo terribile limbo? Che spaventa tanto anche i miei figli?
Con stima, Francesca
Francesca, io ci provo a darti conforto, però a modo mio. Ci provo dicendoti anzitutto che capisco bene il tuo sgomento alle prese con quella che tu chiami la “chiusura di un ciclo di vita”. Capita a tutte le donne, in maniera più o meno sofferta, più o meno consapevole, di patire la fine dell’età feconda come un vero e proprio lutto. Capita anche a coloro che di figli non ne hanno e non ne hanno mai voluti. La maternità non è solo un esperienza ma anche una potenzialità inscritta nel nostro corpo, un modo in cui ci rappresentiamo: capaci di generare la vita, capaci di “mettere al mondo”. Potenti, insomma. Già, perché il corpo parla alla psiche. E quando il potenziale accenna a spegnersi non è facile congedarci da quella possibilità che, peraltro, associamo, fondatamente, alla giovinezza. Capisco bene, anche, che quando il desiderio di un figlio diviene desiderio di coppia, quella possibilità mancata può mettere a dura prova il legame, può destabilizzare la relazione togliendole respiro e prospettiva. Ma vorrei provare, dicevo, a darti conforto a modo mio, e cioè strapazzandoti un poco. Le parole “pesanti” dei medici sono una bella palettata di principio di realtà e non una prova di cinismo: benché viviamo nell’età che della giovinezza protratta a oltranza e della coazione a realizzare tutti inostri desideri celebra il mito, succede che a quarantun anni si possa far fatica a portare a termine una gravidanza. E poi: se ti leghi a una donna di quarantun anni, già madre di due figli, devi saperlo che forse un “figlio tuo” non ci sta. E poi ancora: ma se è “per caso” che quella possibilità, a un ceto punto, si è manifestata, com’è che poi uno si interroga sull’irrinunciabilità di un figlio che, se capisco, non era mai stato un vero progetto condiviso e fondato? Insomma Francesca, un amore, proprio come una donna, ha tanti modi di mantenersi fecondo e generoso (una parola che viene da generare!) e vitale: per esempio reggendo l’urto di una delusione, prendendosi cura uno del dispiacere dell’altro, con i piedi ben piantati per terra, consapevoli e persino fieri del fatto che ad unirsi “da grand”i si generano gioie diverse ma non meno vive. Last but not least, e con consapevole brutalità: trova il modo di togliere lo spavento dai tuoi ragazzi. Ti pare abbia senso spaventare i figli che ci sono con il rimpianto di chi non ha potuto esserci?